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La filiera dell’accoglienza tra buone pratiche e futuro incerto: i casi della Val Susa e del Canavese

La filiera dell’accoglienza tra buone pratiche e futuro incerto: i casi della Val Susa e del Canavese

Pubblicato il IV rapporto sul secondo welfare in Italia

di Orlando De Gregorio

Negli ultimi anni in Italia si sono andati strutturando due principali circuiti dell’accoglienza a livello locale: i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) e il Sistema di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati (il cosiddetto SPRAR, trasformato di recente in SIPROIMI). Nella maggior parte dei casi i due circuiti sono stati organizzati come due fasi distinte nel percorso di inserimento dei migranti – dapprima l’invio dei richiedenti asilo al sistema CAS (prima accoglienza) e, una volta ottenuta la protezione internazionale, il successivo indirizzamento verso lo SPRAR (seconda accoglienza) – e nei casi più virtuosi sono entrati progressivamente in sinergia con risultati positivi. Con l’obiettivo di individuare quali siano gli elementi favorevoli alla creazione di una buona governance nella “filiera dell’accoglienza”, questo articolo delinea il difficile consolidamento del sistema di ricezione dei migranti in Italia e approfondisce le caratteristiche che i CAS hanno assunto negli ultimi anni. In questo solco, ci siamo concentrati sul contesto venutosi a creare sul territorio della Città Metropolitana di Torino descrivendo due casi virtuosi nell’ambito della prima accoglienza sviluppati in Val Susa e nel Canavese. L’analisi tratteggia quindi alcuni rischi e problemi emersi a livello locale dopo l’approvazione del cosiddetto “Decreto Sicurezza” e i concomitanti tagli alla spesa previsti dalla Legge di Bilancio 2019, approfondendo le prospettive del Terzo Settore in questa difficile e incerta fase di cambiamento. 

Nelle conclusioni si propongono alcuni elementi ritenuti centrali per la realizzazione di esperienze di accoglienza positive – il coinvolgimento del territorio, la costituzione di reti capaci di coinvolgere la società civile e la cittadinanza, il coordinamento tra pubblico e privato, la trasparenza delle procedure e delle modalità di monitoraggio dei progetti, l’accoglienza diffusa – segnalando nel contempo la necessità di approfondire le buone pratiche realizzate a livello locale per pensare e ri-pensare il sistema di accoglienza italiano.

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